
I campioni analizzati dal Cra si distinguono tra loro per il trattamento termico a cui sono stati sottoposti prima del confezionamento per renderli commercializzabili, (alta qualità, fresco pastorizzato, microfiltrato e Uht) e per la quantità di grassi contenuti.
Le differenze più significative si rintracciano tra intero e parzialmente scremato. I grassi totali nel primo sono circa 3,6 g, mentre nel secondo possono oscillare tra 1,5 e 1,8 g. Il mercato premia i secondi anche perché spesso latte e derivati sono accusati di contenere un’eccessiva quantità di grassi, soprattutto di acidi grassi saturi che rappresentano quasi la metà del loro contenuto totale. In realtà l’accusa non è supportata da dati scientifici perché non tutti i grassi saturi sono uguali.
Mentre gli acidi grassi a catena lunga hanno evidenziato la possibilità di incrementare l’Ldl nel sangue, cioè il colesterolo “cattivo”, recenti studi hanno dimostrato che gli acidi grassi a catena corta, tipici del latte, hanno effetti benefici antitumorali. L’operazione di scrematura, inoltre, produce la riduzione del colesterolo, come si evidenzia nelle schede pubblicate in queste pagine, ma elimina soprattutto l’Hdl, cioè il colesterolo “buono”, oltre a dimezzare la presenza di vitamina A ed E. Per fortuna, però, lascia inalterata la presenza di calcio e fosforo.
Le analisi dei ricercatori del Cra hanno evidenziato anche che per quanto riguarda i principali nutrienti non esistono sostanziali differenze tra fresco, microfiltrato e Uht. Anche se non possiamo fare a meno di sottolineare che la presenza di calcio nei campioni, in media, è sempre più bassa di quella indicata in etichetta.
Fonte: E-R